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BRESCIA: NUOVA UDIENZA PER JUAN SORROCHE. COMPAGNE E COMPAGNI DAVANTI AL TRIBUNALE: “NO ALLA VIDEOCONFERENZA”

 
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Si è svolta questa mattina, lunedì 16 dicembre, la terza udienza del processo che vede imputato Antonio Sorroche Fernandez (Juan), il compagno anarchico accusato di terrorismo per l’attacco alla Polgai di Brescia del 2015.

Un processo – in corso presso il Tribunale di Brescia iniziato il 14 ottobre scorso e che vede Juan costretto a partecipare in videoconferenza dal carcere di Terni, dove è detenuto da anni in AS2. La sua richiesta di poter partecipare in presenza al processo, fatta nel corso della scorsa udienza, è infatti stata rifiutata dalla giudice. Compagne e compagni che, ancora una volta, da diverse parti d’Italia hanno raggiunto il presidio solidale organizzato davanti al Tribunale in concomitanza dell’udienza, hanno quindi deciso di far sentire la propria voce anche su questo aspetto dall’evidente carattere repressivo.

“Ci stiamo ormai abituando alla videoconferenza imposta durante i processi come fatto normalizzato e immodificabile? – scrivono sul testo di lancio del presidio – I nostri stessi compagni, che magari non vediamo da anni e che rischiamo di non vedere per anni, diventano delle immagini in uno schermo, la cui voce può essere interrotta premendo un semplice bottone. Come sempre, il pretesto iniziale (il “terrorismo”) si allarga (la pericolosità dell’imputato, il risparmio sulle traduzioni dal carcere) e la sparizione del corpo dell’accusato diventa un atto burocratico”.

In diretta dal presidio davanti al Tribunale di Brescia, l’analisi e l’aggiornamento di una compagna di Trento Ascolta o scarica

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Un processo – in corso presso il Tribunale di Brescia iniziato il 14 ottobre scorso e che vede Juan costretto a partecipare in videoconferenza dal carcere di Terni, dove è detenuto da anni in AS2. La sua richiesta di poter partecipare in presenza al processo, fatta nel corso della scorsa udienza, è infatti stata rifiutata dalla giudice. Compagne e compagni che, ancora una volta, da diverse parti d’Italia hanno raggiunto il presidio solidale organizzato davanti al Tribunale in concomitanza dell’udienza, hanno quindi deciso di far sentire la propria voce anche su questo aspetto dall’evidente carattere repressivo.

“Ci stiamo ormai abituando alla videoconferenza imposta durante i processi come fatto normalizzato e immodificabile? – scrivono sul testo di lancio del presidio – I nostri stessi compagni, che magari non vediamo da anni e che rischiamo di non vedere per anni, diventano delle immagini in uno schermo, la cui voce può essere interrotta premendo un semplice bottone. Come sempre, il pretesto iniziale (il “terrorismo”) si allarga (la pericolosità dell’imputato, il risparmio sulle traduzioni dal carcere) e la sparizione del corpo dell’accusato diventa un atto burocratico”.

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